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Fotografia sociale: una foto può cambiare il mondo?

Una fotografia può cambiare il mondo? Probabilmente si, almeno in parte; sicuramente può cambiare chi la osserva… e chi la scatta. Come è possibile? proviamo a capirlo insieme continuando a leggere questo post sulla fotografia sociale … e quelli che seguiranno!

 fotografia sociale
Lewis W. Hine, famiglia italiana aspetta i bagagli a Ellis Island. Transfer from Photo League Lewis Hine Memorial Committee; ex-collection of Corydon Hine. © George Eastman House Collection.

Lewis Hine, nacque nel 1874 nel Wisconsin (USA), fu sociologo, educatore e fotografo. La sua attività lavorativa lo portò ad entrare in contatto con i flussi migratori ad Ellis Island ed iniziò ad usare la fotocamera come mezzo di narrazione e denuncia della condizione di vita degli immigrati italiani. Nel 1908, lasciò il suo lavoro di insegnante per diventare fotografo ufficiale del National Child Labor Committee, una organizzazione creata per combattere il lavoro minorile nell’industria pesante. Entrando nelle fabbriche con false identità (agente assicurativo, rappresentante di attrezzature, venditore di bibbie), Hine ritrasse e denunciò la condizione disumana di lavoro di bambini e bambine, contribuendo significativamente alla battaglia legale per l’abolizione del lavoro minorile. Le sue immagini, diventate simbolo dei diritti dei bambini, mostrano operai giovanissimi, vestiti con stracci sudici, in mezzo a catene di montaggio infinite, nei campi di cotone o in strada.

Lewis Hine è uno dei primi fotografi ad usare in maniera efficace la fotografia come mezzo di denuncia sociale e strumento per incidere sui processi di cambiamento. Per me è uno dei padri della “fotografia sociale”.

 

“Se sapessi raccontare una storia con le parole, non avrei bisogno di trascinarmi dietro una macchina fotografica”  (L. Hine)

Saltiamo  ai giorni nostri. Nilüfer Demir è la fotografa che ha ritratto il corpicino senza vita di un piccolo bambino siriano, morto nel tentativo di raggiungere le coste turche con la sua famiglia. La foto ha fatto il giro del mondo, accendendo dibattiti sull’opportunità di pubblicarla. Una sola immagine, drammatica, che la fotografa stessa vorrebbe non aver mai dovuto fare, ha messo in evidenza le macroscopiche violazioni dei diritti dei bambini ed indotto i governati di Austria, Germania, Francia ed Italia a modificare la propria politica verso gli immigrati. Certo, la sua prospettiva è quella della fotografia giornalistica e non della fotografia sociale come la intendeva Hine, ma l’efficacia è indiscutibile.

 

Sono solo alcune delle tante storie che potremmo raccontare per dimostrare quanto abbiamo affermato nel titolo: La fotografia può cambiare il mondo. A volte ne basta una.

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Quale processo di cambiamento può essere attivato dalla fotografia sociale?

I cambiamenti non sono mai immediati, richiedono dei passaggi che si succedono nel tempo e dei determinanti che permettono di percorrerli. Questo giochino si chiama “processo”. Quale processo di cambiamento ci aspettiamo da una “fotografia sociale” Anticipo subito la mia idea per dare lo schema di quello che andrò a dettagliare nelle prossime righe:

il processo di cambiamento di cui parlo ha tre componenti: affettiva, intellettuale, conativa1. Se una foto cambia il cuore (cambiamento affettivo) cambia anche la mentalità (cambiamento intellettuale). Se cambia il modo di pensare, la mentalità, può cambiare anche il modo di agire (cambiamento conativo).

 

Perché ho scelto questo processo per descrivere la fotografia sociale? Perché sono partito dal presupposto, piuttosto condiviso, che le immagini  abbiano il potere di andare oltre il dato rappresentato, fino a toccare la sfera emotiva delle persone. In maniera diretta, saltando le difese che spesso vengono erette per proteggere, razionalmente la propria visione del mondo, le proprie certezze e la propria sicurezza. La forza dell’immagine è nella sua evocatività, nella sua capacità di andare oltre la sfera razionale facendo (ri)vivere sentimenti ed emozioni. L’immagine efficace è una immagine che destabilizza, mette in crisi. Non a caso i più efficaci test psicologici sono basasti essenzialmente sulla lettura trasferenziale di immagini 2.

Se l’immagine tocca la sfera emotiva prima di quella razionale, il cambiamento che ci aspettiamo è prima di tutto interiore e l’efficacia di una fotografia “sociale” sta proprio nel suscitare sentimenti coerenti con l’intento del fotografo. In particolare la fotografia sociale mira a suscitare compassione verso la realtà mostrata.

Attenzione: parlo di compassione non nel suo attuale significato pietistico ma intesa nella sua antica e nobile accezione come partecipazione alle sofferenze altrui. Un sentimento quindi che non fa guardare l’altro dall’alto verso il basso ma unisce in una comunione profonda, in un prendersi a cuore che induce un diverso modo di interpretare la realtà e suscita il desiderio autentico di alleviarle e di porre fine alle sofferenze dell’altro.

Un nuovo modo di sentire emotivamente, capace di cambiare il modo di pensare, orienta verso un diverso sistema di valori che  produrrà nuove decisioni, nuove e diverse scelte.

 

Lungi da me affermare un processo deterministico o automatico,  anche l’immagine più efficace dovrà fare i conti con due nemici:

  • il primo vive nell’osservatore e sono le difese che questi mette in campo per proteggere se stesso, il proprio stile di vita, le proprie convinzioni;
  • il secondo vive nell’immagine stessa, in quanto portatrice di una profonda ambiguità: toccando la sfera emotiva produrrà, in diversi osservatori, diverse emozioni e stati d’animo.

Una fotografia, quindi, può cambiare il mondo? Si, se è abbastanza efficace, ovvero se il suo messaggio non è ambiguo ma chiaro e se è abbastanza “potente” da superare le difese degli osservatori e raggiungere il loro cuore.

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Note

  1. Si pensi ad esempio al Test di Appercezione Tematica di Murray, dove al soggetto vengono proposte delle tavole rappresentanti delle scene che egli deve interpretare inventandoci sopra una storia e cercando, inoltre, di immaginare cosa è successo prima e cosa accadrà in seguito. Le risposte riflettono i costrutti mentali, le esperienze, i conflitti e i desideri di ognuno: essenzialmente la persona proietta se stessa nella situazione rappresentata, identificandosi con uno dei personaggi raffigurati.
  2. Uso questo termine poco noto ed anche un po’ bruttino perché credo che esprima al meglio questa fase del processo di cambiamento di cui parlo: dal latino “conari”, tentare, indica, nel linguaggio psicologico,  una attività che può manifestarsi  nella coscienza come desiderio o nel comportamento come azione tendente ad un fine

About Cristiano Marini

Mi chiamo Cristiano Marini e su questo blog pubblico le mie fotografie ed i miei articoli su fotografia, formazione, educazione ed inclusione sociale. Se vuoi, puoi comunicare con me attraverso la sezione Contatti o sui social.